I Walser dell'Alta Valle del Lys
Nel lontano '800 gruppi di famiglie contadine dell'Alemania, necessitando di nuovi spazi, iniziarono in direzione sud la più grande migrazione della storia europea. Giunsero a Berna e si portarono sulle alture circostanti, l'Oberland. Proprio qui si delineò il loro destino: si spinsero in alto, verso zone disabitate, ai piedi dei grandi massicci montuosi, si adattarono alle loro asperità ed al loro clima rigido e si accinsero a renderle vivibili e produttive. Fu un lavoro molto faticoso, di accesso, diroccamento, disboscamento, irrigazione, fertilizzazione, di costruzioni abitative con argini e paravalanghe, poi delle opere necessarie per il mantenimento delle condizioni favorevoli create. Per la persistente necessità di nuovi spazi liberi, potendo trovarne solo sulle zone più alte delle montagne, verso di esse continuarono la loro migrazione, superando valichi impervi e rischiosi. Il primo quello terribile del Grimsel, per giungere, verso il 1000 nella parte alta-orientale del Vallese, e scendere poi fin verso Sion, sua capitale. Fu un insediamento molto consistente, ma non terminale, tanto che dal 1200 fino al XV secolo i trasferimenti continuarono. Attraverso il Gries, il Teodulo e il Monte Moro giunsero rispettivamente in val Formazza, a Gressoney-Issime ed a Macugnana, da qui espandendosi poi anche sulle altre vallate dei versanti meridionale e orientale del Monte Rosa, quindi Riva Valdobbia, Alagna, Rima, Rimella ed altre. Attraverso la Furka altri gruppi si diressero verso nord-est ed occuparono zone di Saint Galles e dei Grigioni in Svizzera, il Liechtenstein, il Voralberg in Au- stria, fino a Galtür nel Tirolo. Spettò da allora a tutti la giusta connotazione di «uomini della montagna». Gli abitanti del Vallese venivano indicati come «Walliser», e questa denominazione la portarono con sé, però nella dizione contratta in «Walser», anche tutti quei loro discendenti spostatisi altrove. Furono favorevoli a questi insediamenti i feudatari in possesso di queste terre, intuendo di poterne ricavare proventi e prodotti, tanto da essere disposti a concedere a queste popolazioni alcuni privilegi. Nacque così un reciproco rapporto, uno status giuridico particolare in tutta Europa, noto come «diritto walser», atto a riconoscere loro il ruolo di coloni, rispondente al loro naturale sentimento di sentirsi uomini liberi. Fu data facoltà alle famiglie di distribuirsi fra di loro le terre; furono loro concessi il fitto ereditario, con stabilità nel tempo della relativa quota, stimolo alla buona tenuta ed a migliorie, la gestione di tutto il territorio e persino l'esercizio della giustizia per i reati minori. Tutta questa storia di uomini e di circostanze non può essere disgiunta dall'insieme degli eventi geologici e delle variazioni climatiche, che, verificatisi in queste regioni, ne determinarono la conformazione e crearono condizioni naturali variamente alternate. La conformazione è quella tipica prodotta da lunghi processi di erosione dei ghiacciai, cioè caratterizzata da piane alluvionali (tre nell'alta valle del Lys), e dalla discesa a salti del torrente dall'una all'altra, con formazione di gole e marmitte; ai fianchi pendii ripidi e rocciosi, e più in alto ripiani a varia quota. Per quanto riguarda il clima la migrazione dei walser si svolse in un periodo molto favorevole: ghiacciai molto arretrati, temperature più miti, meno gravoso quindi il lavoro di bonifica e di stabilizzazione dell'ambiente, possibili i trasferimenti con bestiame, masserizie, bambini e anziani. Fino a che non intervenne una nuova, pesante e del tutto sfavorevole, variazione. Iniziò infatti verso la seconda metà del ‘400 la cosiddetta piccola glaciazione, che si protrasse per oltre un secolo, coprendo di ghiaccio vaste zone, inaridendo prati e campi sino a rendere l'agricoltura insufficiente a soddisfare i bisogni delle famiglie. Indispensabile scegliere altre vie. Abituati ai lunghi percorsi, gli uomini di Gressoney scelsero di fare i Krämer, i commercianti, ottenendo buon successo con la vendita al dettaglio di stoffe e sete in paesi di loro lingua, cioè Svizzera e Germania meridionale. A Issime, invece, già nel '400 emigrarono recandosi in Francia e Svizzera per esercitare le attività di imprenditori edili e di muratori. Inoltre la località conobbe, fino alla fine del XVIII secolo, un certo benessere in quanto centro giuridizionale dei Signori di Vallaise. Nel cuore di tutti questi Walser rimanevano però la famiglia e il paese. Tornavano periodicamente, quando possibile, e definitivamente dopo cessata l'attività; investivano in paese i loro ricavi; non tornavano con una sposa, ma preferivano sceglierla tra la propria gente. È facile intuire come alla base di tutto ci fossero una identità ed una cultura costituenti il movente stesso della loro vita e quel patrimonio di beni immateriali, in parte originario, in parte acquisito, di vicenda in vicenda, che più apprezzavano e più desideravano trasmettere ai loro figli. Patrimonio immateriale che già di per sé, ma anche per il suo riflesso sulle opere materiali realizzate, ha conferito un'impronta particolare e piacevole ai paesi walser dell'Alta Valle del Lys. La presenza di tanti piccoli simpatici villaggi denota una caratteristica, già notata da Tacito: «non formano agglomerati… vivono separati e distinti… dove una sorgente, il suolo, un bosco invita a fermarsi». Tipica l'architettura, la casa in muratura alla base, e sopra in legno, a travi incastrate fra di loro (Blockbau). Case accoglienti ed abbellite; straordinaria la pulizia, anche nel wohngade, locale tipico di Gressoney, metà destinato al bestiame e metà, separata, alle persone, parte questa tutta foderata in legno, abitata di giorno e nelle laboriose, talvolta gioiose, veglie d'inverno. A Issime invece la vita invernale trascorreva essenzialmente in un vano denominato pielljer, situato sopra la stalla, anch'esso interamente in legno. E l'impronta walser si è tramandata di generazione in generazione anche attraverso tante altre componenti, quali lingua, religiosità, culto dei morti, folklore, poesie, canti, proverbi, arti figurative, artigianato tipico, attività e manifestazioni varie. Si è quindi trasmessa sino alla nostra generazione, e continua a caratterizzare l'ambiente in cui vivono le nostre comunità dell'Oberlystal quale la natura l'ha plasmato e quale noi l'abbiamo realizzato col lavoro e vivificato con la cultura, tanto da portarlo al livello delle più rinomate località storiche e turistiche della Valle d'Aosta. Abbiamo vita intensa. Siamo propensi a cercare ed accettare vie di continuo sviluppo, mantenendo però rispetto e fedeltà alle nostre origini, di cui andiamo fieri e di cui intendiamo conservare natura e spirito. Ripetiamo quindi tradizioni secolari, non smarrite lungo il percorso di arrivo e non perse nel variare di circostanze, eventi ed idee. A capodanno cantiamo il Neujahrslied ed offriamo la strenna ai bambini; alla festa di San Nicola continuiamo a ricevere i suoi doni; portiamo in Chiesa gli agnellini offerti al patrono il giorno di San Giovanni Battista; ripetiamo annualmente le espressioni della nostra fede, quali processioni, pellegrinaggi, feste nelle cappelle; veneriamo e festeggiamo anche un patrono d'inverno, San Sebastiano, nelle zone in cui proprio in questa stagione, dato il ritorno degli emigranti, sono al completo le famiglie locali; onoriamo i nostri morti, nella notte dei defunti allestiamo per loro una tavola imbandita e per loro lasciamo una coppa colma di acqua fresca nei casolari dei nostri béerga in ogni occasione di un periodo di nostra assenza; amiamo le manifestazioni legate al nostro folklore e continuiamo a tramandare qualche menù delle nonne; siamo gelosi della pulizia e dell'intimità delle nostre tipiche abitazioni in cui predomina il legno ed offrono piacevole calore antiche stufe in pietra ollare personalizzate da nomi, date e simboli. Vogliamo conservare le nostre lingue, il titsch a Gressoney e il töitschu a Issime, insegnarle anche a scuola, raccogliere e pubblicare preziose testimonianze, quali poesie, canti, proverbi, ricette. Vestiamo con ambiziosa dignità i nostri costumi. Abbiamo vivo il senso della necessità di vivere in armonia con la natura, consci che solo attraverso il suo rispetto si raggiungano buone qualità di vita. Ci interessiamo quindi della flora, per ammirarne la bellezza, per trarne risorse, soprattutto dai frutti del sottobosco, e per usufruire di virtù salutari che essa possiede. Osserviamo con attenzione la vita degli animali, non mancando di trarne sensate deduzioni. Abbiamo creato zone di protezione e di ripopolamento dei selvatici rinnovando lo spirito di quel gressonaro, Joseph Zumstein, che fu il primo a lanciare l'allarme riguardo alla minaccia di estinzione dello stambecco, ora di nuovo diffusamente presente. Nel 1833, Joseph Alby di Issime rivoluzionò l'apicoltura realizzando, per primo, degli alveari orizzontali dotati di favi mobili, cosa che permise, da allora in poi, di raccogliere il miele senza uccidere o spostare le api. Vogliamo mantenere operosità e serietà. Organizziamo e nel tempo libero pratichiamo, oltre all'esercizio alpinistico, vari sport, tennis, bocce, equitazione, golf; ci dedichiamo assiduamente agli sport della neve, allo sviluppo di impianti ed all'organizzazione di iniziative e manifestazioni ad essi collegati; alcuni nostri atleti hanno raggiunto notevoli successi in competizioni agonistiche, ed alcuni nostri alpinisti hanno compiuto, sin dal lontano passato, imprese eccezionali. Al passato non guardiamo con spirito di sterile conservatorismo bensì con l'intento di scoprire in esso le linee guida per il cammino da proseguire con l'umanità intera verso i grandi traguardi del futuro.